(Nota introduttiva alla
poesia di Silvia Caratti)
“Avons-nous
donc commis une action étrange?”
Baudelaire
La poesia di Silvia
Caratti è scabra, lavora sull’economia della parola per configurarsi in una
sorta di “Canzoniere”- come osservava Santagostini - che è poi il costituirsi di un mondo. Mondo segnato dalla
mancanza in cui la pagina vuota accoglie in versi ciò che è stato esplicato nel
parlato, esito di incessanti riflessioni in cui la “pubblica piazza della
mente” ha “mancato lo scopo”.
Scrive Maurizio Cucchi
nella prefazione a “La trama dei metalli”: “la fisicità è prepotente nei versi
di Silvia… nell’esprimere in modo netto un destino senza mai arretrare”;
l’amore si trasla nel canto inglobando la lontana adolescenza, quasi fosse una “specie
estinta”, un “esemplare unico e
vetrificato” evocando quella “strana
gioia di vivere” centrale nella poetica di Sandro Penna dove in alcuni luoghi
citati il mare ,di fatto, non dovrebbe esserci: ma c’è.
Strane teche di vetro,
istoteche, barattoli di formalina appaiono nelle poesie della Caratti che
sembrano riallacciarsi ad alcuni dipinti di Menzel in cui calchi di volti e
parti anatomiche umane illuminati da una luce radente, che ne enfatizza
l’aspetto museale da gipsoteca, si mostrano nella loro fissità: “se non sento
la tua voce e allora che sei più vicina. / Se non guardo i tuoi occhi loro mi
vedranno” .
Si vorrebbe bloccare
iperbolicamente e in vitro l’amore
in esordio in tutta la sua bellezza in una “piccola esposizione universale/ di
ogni nostra sofferenza”. Caratti parla di un dolore che talvolta è sconosciuto
all’altro perché sebbene “siamo tutto un mondo” constata nel disincanto più
totale che “abbiamo più volte / mandato messaggeri che non sono tornati”.
Il singolare interesse
per elementi museali mosso da un “pensare-classificare” sembra una propaggine
ottocentesca innervata nei suoi versi.
Talvolta la poesia sfocia “in preghiera”
– la poesia sottrae alla vita – invocando
una divinità , che non può che essere il dio dell’amore capace di innestare il
canto all’interno della prosaicità del quotidiano: “nel mentre”, “attraverso”. E “ci protegga nel
momento del trapasso / che è poi tutta la vita intera, / noi che aspettiamo
pazienti /di tornare”.
Massimo
Dagnino
(gennaio 2012)
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