Massimo Dagnino su Errore di sintassi (Francesco Osti)


Francesco Osti, Errore di sintassi, LietoColle, Faloppio (CO) , 2005, pp.56

 «Buongiorno Signor Direttore, prima di impallidire si volti lentamente verso la finestra e guardi fra le frasche del parco…mi vede? Sono scappato; » una Corrispondenza dalle ribalte – carica di ironia - apre il libro di Francesco Osti Errore di sintassi. Nato a Morbegno (SO) nel 1976, alcuni suoi testi figurano in diverse antologie: Tutta la forza della poesia (Labos, Morbegno 2003), Nuovissima poesia italiana, a cura di M. Cucchi e A. Riccardi (Mondadori, Milano 2004) e, di recente pubblicazione, La riqualificazione urbana (Coen Tanugi, Milano 2006).
Uno dei tratti salienti del libro è l’elisione dell’a capo, “di ciò che eccede la struttura sintattica”  (secondo  una brillante formula di Nicola Bucci), che si riconfigura nella scelta della prosa breve.  L’altro riguarda le tematiche: l’autore si sofferma nella periferia descrivendone, con sguardo pittorico,  le infrastrutture in cui si aggirano passanti, tecnici del telefono, camionisti e  operai turnisti, l’uomo alla betoniera («perdutamente guasta»), ecc… periferia dove proliferano dismissioni, il rosso delle case cantoniere, raffinerie  mentre  le “poste e telecomunicazioni  sono «una beffa giocata da un baro…» in una continua “destrutturazione” dello spazio, assorbite nell’Attesa di paese. In questo paesaggio alla luce di sodio «vie industriali smagliano in filamenti verso le campagne» e «l’unico passeggero» di «un autobus della linea locale» è «una donna avvolta nello scialle di lana nera», figura quasi materna  avulsa dal «tormento della decisione»: «le componenti principali » – scrive Marc Augé ne Il viaggio ad Aulnay – «del paesaggio della periferia urbana odierna […] condannano piuttosto l’individuo  alla solitudine e all’anonimato proprio nella misura in cui questo “paesaggio” si squalifica, perduto tra un passato senza traccia e un futuro senza forma. Il demografo Hervé Le Bras utilizza per designarlo l’espressione “filamenti urbani.”» Ecco ritornare i “filamenti “ che nelle prose di Francesco coincidono con  il “farsi e disfarsi” del paesaggio: nessun paesaggio umano rimane stabile a lungo. In questa instabilità entra in gioco la dismissione (la terza sezione del libro è incentrata su questo tema) : «la bocca atteggiata come se zufolasse, poi contratta, severissima …eccolo, nell’ultimo rifugio, il volto della Dismissione.» Dismissione che in Sopralluogo è  “scoperta” dall’intrusività del lavoro e dunque non è solo l’edificio, la fabbrica ad entrare in dismissione ma anche l’uomo, a cui sono sottratte tutte le possibilità, «diviso in meri segmenti d’uomo, frantumato in frammenti e briciole di vita…» (Ruskin).
«Il sentimento della dimenticanza» permea la geografia della mente descritta in Errore di sintassi dove l’effetto città  (sintetizzato in centri di documentazione e informazione, servizi culturali e ricreativi nonché spettacoli e musei) è assente, e non vi è nessun tentativo di “trasportarlo  temporaneamente” come, ad esempio, proponeva il progetto Walking City dell’Archigram Group.
Si è accennato allo sguardo pittorico di Osti, in effetti alcune sue prose risentono dell’influsso delle arti figurative, specialmente americane: Cucchi nella prefazione  parla di «certe invenzioni della POP ART », oltre a ciò possiamo aggiungere , per esempio, gli scatti fotografici di Lewis Baltz (Ufficio dismesso, Mitsubishi, vicino Vitre, Bretagna, 1989- 1992) o i dipinti di Charles Sheeler che definì alcuni suoi American Landscape “Depopulated landscape” («it's my illustration of what a beautiful world it would be if there were no people in it»).
 L’aspetto americano della scrittura di Francesco si innesta a esperienze rintracciabili nell’area lombarda: Mario Santagostini («Le periferie si riempivano di nuovo, la domenica…»; «…una rotaia nell’erba / poi nell’erba / da sola, in un deposito / dismesso…») , il primo Cucchi, Giampiero Neri, che si aggiungono alla costante ironia “pop” (l’ ulteriore carattere preciso della poetica del giovane autore). Evidentissima nella simulazione di lettere commerciali (Lettera III, Lettera IV) che, come si è detto, aprono la raccolta e che comunque non risparmia nemmeno la citazione caproniana  in esergo a La casa intatta: «Ero entrato in chiesa con l’erba».

                                                                                                                       Massimo Dagnino
[Fonte: Capoverso, n° 13 , gennaio-giugno 2007]






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